CAMMINI TRA BORGHI E SENTIERI, ALLA RICERCA DI MARE AUTENTICO E CALETTE SPECIALI - RICORDI DI UN PASSATO RECENTE. Massa Lubrense, Penisola sorrentina, Punta Campanella e dintorni

 


CAMMINI TRA BORGHI E SENTIERI, ALLA RICERCA DI MARE AUTENTICO E CALETTE SPECIALI - RICORDI DI UN PASSATO RECENTE. Massa Lubrense, Penisola sorrentina, Punta Campanella e dintorni


Anni '70. Ero bambina. In estate i bagni di mare erano grandi occasioni per camminare alla ricerca di calette frequentate da persone tranquille, senza folla di bagnanti.
L’estrema propaggine peninsulare della terra Lubrense ha un lunghissimo sviluppo litoraneo ma ha poche spiagge, prevalentemente strette, piccole oasi di ghiaietto o di sassolini tondeggianti, incuneate tra scogliere e promontori scoscesi, spesso non agevolmente accessibili.
In quegli anni in tutta la penisola sorrentina era in atto l’assalto selvaggio alle coste del turismo balneare di massa; le poche spiagge un po' più ampie erano lottizzate da stabilimenti impiantati senza soluzioni di continuità, che lasciavano liberamente disponibile per il passaggio solo una sottilissima striscia di battigia.
Le barche in legno (i “gozzi”) dei pochi pescatori autoctoni ed autentici che ancora vivevano stabilmente nelle marine praticando la pesca, venivano tirate in secco fin sotto le case dei borghi o ancorate in rada al largo, per fare spazio ai lunghi allineamenti di cabine ed ai serpentoni di ombrelloni e sedie a sdraio.
Su quei lidi si disperdeva il profumo del mare portato dalla brezza di maestrale, l’odore delle reti da pesca e dei cordami, dei secchi con il pescato, del piscio dei gatti che gironzolavano intorno alle imbarcazioni, l’odore del legno delle barche a remi verniciate di azzurro e di bianco; prevaleva un mix di altri odori artificiali: creme solari, olii abbronzanti, sigari e sigarette, tabacco ed altre erbe.
Non si riusciva ad ascoltare né il fruscio del vento né il suono dolce e profondo delle onde che trascinano e levigano i sassolini sulla riva con moto perpetuo avanti ed indietro; prevalevano le urla delle mamme che richiamavano di continuo i figli, le esultanze di giocatori che improvvisavano partite di calcio e di pallanuoto, costretti in spazi più piccoli di una piscina per bambini per poter dare sacrosanto sfogo alla loro irruenza giovanile.



Mia madre non amava i bagni su queste spiagge, solo apparentemente comode; si trovava parcheggio per l’auto molto lontano e si camminava in ciabatte sull’asfalto rovente tra auto strombazzanti, bus da turismo, vespe e motorini; si attraversavano lunghi stabilimenti balneari alla ricerca di qualche metro quadrato di suolo libero per stendere a terra i teli.
Avevamo scoperto una spiaggia diversa, alternativa; per raggiungerla si camminava, discendendo prima su un vialetto ombroso, tra villette con giardini pieni di siepi di oleandri fioriti, e poi su una lunga e ripida scalinata di pietra, esposta al sole ed al vento, con ampio panorama su una baia racchiusa tra promontori rocciosi e dominata da antiche torri di avvistamento, emergenti nello skyline.
Alla fine della scalinata si atterrava con un salto sui sassolini tondeggianti; qui si incontravano bambini dinamici ma disciplinati, con cui era piacevole giocare, fare amicizia ed improvvisare gare di nuoto. La spiaggia era frequentata da abitanti dei paesi vicini e da turisti silenziosi che giungevano dall’estero in quella terra generosa di sole; mia madre si trovava a suo agio con le persone, socializzava, chiacchierava e non notava le mie fughe tra gli scogli con la maschera a scrutare per ore i fondali, né le mie nuotate verso il largo. 
Al ritorno dal mare si camminava ancora, e non erano ammessi lamenti per fame, sete o stanchezza; durante la salita si contavano scalini, rampe e tornanti fino al parcheggio, e si portavano a casa capelli spettinati dal vento, pieni di sale e di sole, pelle abbronzata odorosa di salsedine, secchielli pieni di sassolini, muscoli allenati, benessere e felicità.
Nei giorni festivi si andava a mare anche con mio padre, che, da ex alpinista e scalatore di roccia su Alpi ed Appennini, organizzava escursioni verso calette particolari, accessibili soltanto in cammino attraverso sentieri scoscesi e panoramici. Era necessario attrezzarsi: no ciabatte infradito, no pantaloni corti, no borsette da spiaggia; erano ammesse solo scarpe chiuse, pantaloni lunghi per proteggerci dai serpenti, zainetto, cappellini di colore chiaro, magliette a mezza manica per evitare scottature alle spalle.
Mio padre usava anche in piena estate scarponi e pantaloni da montagna, portava in spalla un pesante zaino con un’anguria intera, che sistemava in fresco nell’acqua tra gli scogli; dopo il cammino si tuffava in mare, nuotava lungamente a dorso verso il mare aperto, e poi si distendeva al sole sulle rocce calde. Nei cammini in salita sotto il sole ci faceva mangiare fette di limone per calmare la sete. Amava la natura selvaggia e trasmetteva alla famiglia la passione per il cammino e per l’avventura.



Ho continuato a frequentare per decenni le amate calette di Marciano, Mitigliano, Ieranto, Recommone, Crapolla, raggiungendole in cammino sui sentieri con amici naturalisti ed alternativi, con la mia amica sorella, poi con marito e figli piccoli, poi con i figli ragazzini, e spesso anche da sola, con la massima serenità.
Dieci anni fa ho trovato le calette molto cambiate; alcune raggiungibili in auto, altre assalite da barche per trasporto di turisti ed attrezzate con bar, ombrelloni e lettini; ho constatato con rimpianto la scomparsa dell’originaria autenticità, di cui rimane il ricordo per chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscerla e di gustarla in passato.

Ho ricordato i cammini nelle mie amate calette sulla costa lubrense in un capitolo di questo libro:





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Adesso vivo lontano da questi luoghi, ma serbo nel cuore il ricordo dei cammini e della disciplina, il rispetto e l'amore per paesaggi, borghi, architetture storiche, sentieri, vegetazione,  terre ed acque.
Ho trasferito con me il gusto del cammino da queste coste, ormai molto note e turisticizzate, frequentate da escursionisti provenienti da tutto il mondo,  verso terre alpine del nord-est d'Italia, terre pedemontane e vallive riservate e talvolta dimenticate, in cui pratico il cammino alla scoperta di luoghi poco noti, architetture spontanee e persone autentiche; descrivo itinerari di cammino lento che propongono l'osservazione di paesaggi ed architetture, rievocandone la storia e le memorie non scritte, raccontate in viva voce da persone speciali che amano le loro terre.
Ogni tanto scrivo qualche storia come questa, sulla mia terra d'origine; da apolide, continuo a percorrere con amore tante terre.

👉PROSSIMAMENTE UNA MIA NUOVA PUBBLICAZIONE SU RICORDI DI LUOGHI E PERSONE TRA MARE E TERRA DI MASSA LUBRENSE, CON FOTO D'EPOCA DI PERSONE CHE, CON IMMENSA GIOIA, HO RITROVATO DOPO DECENNI....

 
Buona lettura e buon cammino! Francesca


ARCHITETTURE-CAMMINO
(logo di Irene Munzù)








Commenti

Unknown ha detto…
Cara Francesca , i tuoi ricordi, così ricchi di odori e colori autentici, hanno risvegliato i miei…
Come non ricordare che mio padre, montanaro, imparò a nuotare nella baia di Ieranto grazie alla maestria di tua madre è dopo una traversata in gozzo davanti alla Punta della Campanella.
E come non ricordare, ormai più che adolescenti, le scarpinate tra sentieri scoscesi per raggiungere quel mare che rende la costiera sorrentina un unicum…il profumo del mare si mescolava a quello della macchia mediterranea….
Ora i tuoi passi sono più ritmici e lontani, tuttavia attraverso i tuoi scritti ho l’impressione di esserci stata anch’io!
Il lago di Barcis mi appare come un lontano conoscente, ma forse è solo il fatto che cammino, silenzio, profumi e suoni sono espressione di una stessa beatitudine.
Francesca Aiello ha detto…
Quanti ricordi insieme...ti aspetto per scarpinare intorno a Barcis, sulla scorta dei miei libri che conosci, e proveremo la beatitudine