CAMMINI E VIANDANZE TRA MONTAGNE ED ISOLE, NEL SOLE E NEL VENTO - Percorsi nella memoria - Grecia, Egeo, Cicladi

 

CAMMINI E VIANDANZE GIOVANILI TRA MONTAGNE ED ISOLE, NEL SOLE E  NEL VENTO - GRECIA, EGEO, CICLADI ANNI '80

Anni ’80. Avevo circa 20 anni. A quell’epoca, con i ricordi ancora freschi di studi classici, l’Ellade mi appariva come un universo fondato su una lingua antica ed imperitura, con lettere dell’alfabeto delineate da dolci linee curve, identificate da sonorità affascinanti che evocavano miti, poemi, poesie, tragedie, commedie, vite di dei e di eroi, storie di combattenti, cantori, poeti, scrittori, filosofi, matematici, medici.

La carta geografica mostrava che la cultura dell’Ellade si era sviluppata su terre montuose, poco ospitali, pastorali, proiettate ad ovest ed a sud verso mari ampi e tempestosi; terre dai profili costieri tormentati, caratterizzati dalla dissolvenza di tante penisole in arcipelaghi composti da innumerevoli isole, generate da catastrofi vulcaniche e tettoniche di un passato lontanissimo.

La scelta della Grecia e del mondo ellenico come meta di viaggi in cammino all'avventura era sinonimo di ricerca di radici culturali e di libertà.

Il bagaglio era “la chiocciola”, cioè un grande zaino che conteneva il minimo indispensabile: 2 costumi da bagno, 1 o 2 ricambi di abiti estivi comodi (magliette e calzoncini), ciabatte di gomma, felpa, cappello, bandana, telo da doccia, telo da spiaggia, sacco a pelo, tappetino arrotolato, zainetto da passeggio, borraccia. Gli accessori necessari erano pochissimi, ma nel loro insieme pesanti: una pentola di medie dimensioni contenente posate, scodelline, spago e mollette per stendere i panni, doccia/shampoo, fornellino da campo a gas, ed una tenda, piccola, a forma di igloo, una delle prime con l’ossatura portante in plastica.

Zaini, sacchi a pelo, tenda e tappetini provenivano dal mercatino adiacente alla stazione centrale di Napoli, in cui si mercanteggiava il prezzo con abilissimi venditori nord-africani e medio-orientali, gli avanguardisti delle grandi emigrazioni dei tempi odierni. Verso la metà degli anni ’80 questi mercanti si erano installati in metropoli e praticavano il commercio secondo la tradizione delle loro terre d’origine, felicemente sposata con la più autentica napoletanità.

Viaggiavamo in gruppo su itinerari che dalle isole e dalle coste ioniche si inoltravano nell’entroterra continentale; qui, tra valli e montagne scoscese, si annidavano isolati i reperti di imponenti insediamenti dell’antichità classica, con templi, santuari dedicati agli dei, ginnasi, stadi e teatri.  

Per gli spostamenti utilizzavamo autobus pubblici che non sempre raggiungevano le nostre località di destinazione; quindi, una volta a terra, camminavamo a lungo con la “chiocciola” in spalla fino ai siti archeologici, o fino ai campeggi in cui facevamo base per le visite e per le escursioni a piedi.

A volte i cammini chilometrici verso i campeggi si protraevano per ore, fino a sera; sopraggiungeva la fame e la ricerca del cibo in qualche negozio o bancarella di paese.

Una sera ci trovammo nella piazza di un paesino invasa dal profumo degli spiedini arrostiti all’aperto, e decidemmo di mangiarli in una pineta, alle falde di una collina scoscesa.

Dopo la cena, piuttosto che proseguire il cammino, scegliemmo di fermarci lì per la notte, e ci addormentammo nei sacchi a pelo sulla nuda terra inclinata a 45 gradi, cosparsa di aghi di pino e di pigne, sotto un cielo pieno di stelle, che brillavano oltre i rami di alberi altissimi e profumati di resina. Un’esperienza indimenticabile.

Cercavamo l’ampiezza del pelago oltre Capo Sunio, dove la terra si protende nel mare blu, sempre spazzato dal vento di Meltemi, e si frantuma in una miriade di isole sparse; ci imbarcavamo al Pireo sulle navi più economiche e lente, che navigavano per intere giornate spinte in poppa dal mare agitato, sollevato dal vento che soffiava forte seguendo il corso del sole nel cielo azzurro senza nubi, tra onde crescenti nel fetch, lunghissimo e libero verso sud.  

Le navigazioni estenuanti, sotto il sole che picchiava senza riparo, seduti su sedie di tipo domestico in plastica e metallo, che scivolavano sul ponte dell’imbarcazione ad ogni rollio o beccheggio, facevano desiderare la terraferma ed il cammino, anche a chi, come me, riusciva a non vomitare in mare sporgendosi dalla balaustra.

Le isole si stagliavano nel mare con le loro terre rocciose e riarse, sulle quali spiccavano insediamenti costituiti da edifici bianchi, attestati sulle sponde e sulle alture, dove emergevano cupole di chiese e monasteri, e mulini a vento.

Sbarcavamo come ubriachi su piccoli moli invasi dalle onde, e barcollando intraprendevamo il cammino verso i campeggi, spesso raggiungibili attraverso sentieri o stradine affacciate sul mare, immersi nella natura selvaggia.

La bellezza del paesaggio, delle spiagge sabbiose, delle acque cristalline, la purezza dell’aria, la forza del sole, la potenza del vento che trasportava intensi profumi di erbe, e l’interesse per la tipicità delle architetture elleniche compensavano ampiamente i disagi delle navigazioni.

I cammini durante quei viaggi erano viandanze avventurose, arricchite da esperienze di socializzazione con genti autoctone simpatiche e vivaci, che parlavano come mitragliatrici l’antica lingua ellenica in versione modernizzata, per noi difficilmente comprensibile.

Gli anziani non sempre conoscevano l’inglese o l’italiano, ma comprendevano perfettamente il greco antico che avevamo studiato a scuola, e ci ascoltavano divertiti, sfoderando risate cariche di umanità e segnalandoci gli aggiornamenti linguistici.

Nelle isole spesso dormivamo a terra sotto le stelle, per trovarci pronti all’imbarco su navi che l’indomani partivano all’alba dai porticcioli. Una sera cucinammo la cena con il fornellino da campeggio su un molo, e ci addormentammo nel sacco a pelo usando lo zaino come cuscino, felici.  

Una notte vegliammo a terra su un sagrato aperto verso il pelago, innanzi ad una chiesetta dipinta di bianco e di azzurro, ascoltando il suono lento e dolce della risacca, con la speranza che il Pope non uscisse dal buio per cacciarci da quel paradiso.

ELEFTHERIA (libertà) ed EIRENE (pace) riassumevano l’essenza di quelle viandanze giovanili, rispettose dell’ambiente e delle comunità locali, ancora non sopraffatte né dall’invasione del turismo di massa né dalle tragiche vicende delle recenti immigrazioni.  

Oggi i tempi ed i luoghi sono mutati, ma sopravvivono tanti ricordi, sbiaditi nelle foto sfocate ma indelebili nella memoria, di cammini lunghi, faticosi e disagiati, densi di emozioni e di avventure nel sole.


Le foto sono state scattate nell'isola di Ios ad agosto 1985.

Questo scritto è uno di 29 racconti brevi autobiografici che compongono il mio libro di recente pubblicazione:





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Buona lettura da Francesca

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