IMPRONTE DI PIEDI SCALZI DI DONNE SULLA STRADA - RICORDI DI UN PASSATO RECENTE, Punta Campanella, Termini di Massa Lubrense (NA)
IMPRONTE DI PIEDI SCALZI DI DONNE SULLA STRADA - RICORDI DI UN PASSATO RECENTE, Punta Campanella, Termini di Massa Lubrense (NA)
"I giovani devono sapere, i vecchi non devono dimenticare,
altrimenti gli uni e gli altri rimarranno senza radici"
DAVID MARIA TUROLDO
Immaginiamo questa strada
in una terra antica, regno di miti e di sirene, che si protende lunga e sottile
nel mare Tirreno verso occidente, dove le montagne rocciose, ricoperte da bassa
e profumata macchia mediterranea, sprofondano nell'immensità dell'azzurro,
increspato da venti che soffiano da tutti i quadranti.
Questa terra è reale, ed è frequentata da gruppi di escursionisti provenienti da tutti i continenti, attrezzati con scarpe sportive delle migliori marche. Frotte di visitatori sbarcano da comodissimi autobus climatizzati da gran turismo e, dopo una colazione al bar, si incamminano vociando sulla strada e sui sentieri diretti verso la sommità del crinale, per affacciarsi sullo strapiombo panoramico del Monte San Costanzo e sull'incantevole Baia di Ieranto, che si configura scenograficamente a forma di cuore.
Questa terra è reale, ed è frequentata da gruppi di escursionisti provenienti da tutti i continenti, attrezzati con scarpe sportive delle migliori marche. Frotte di visitatori sbarcano da comodissimi autobus climatizzati da gran turismo e, dopo una colazione al bar, si incamminano vociando sulla strada e sui sentieri diretti verso la sommità del crinale, per affacciarsi sullo strapiombo panoramico del Monte San Costanzo e sull'incantevole Baia di Ieranto, che si configura scenograficamente a forma di cuore.
Luogo del cuore di
turisti spensierati di oggi. Luogo del cuore di donne lavoratrici di ieri.
La Via Campanella, l'antichissima strada del “Promontorium Minervae” rappresentato nella “Carta Peutingeriana”, decantata sin dall'antichità classica dalla storia che si confonde con il mito, descritta da scrittori ed archeologi, visitata da studiosi ed ecologisti di tutto il mondo, è stata la “mia” strada sin dall'infanzia, dopo la metà degli anni ’60.
Il suo "grande" passato si rintraccia nei libri e persino nei motori di ricerca in rete. Ma la sua storia "minore", autentica e recente, non scritta, vissuta dagli abitanti dall'indole sensibile e laboriosa, è impressa in impronte invisibili, lasciate sul piano di calpestio della strada e nella memoria di persone datate, come me ed anche più.
Negli anni ’60 ero ancora bambina, ma ricordo perfettamente tante donne che percorrevano ogni giorno questa strada a piedi scalzi: le portatrici di fieno; rovistavano chine tra le rocce sui pendii scoscesi e raccoglievano con cura erbe "speciali", prezioso nutrimento per le loro mucche allevate nelle stalle, patrimonio essenziale per la sopravvivenza alimentare ed economica di famiglie numerose, avvezze al lavoro e ad una secolare sobrietà.
Le portatrici di fieno "facevano il viaggio”, cioè il percorso tra i versanti scoscesi di Punta Campanella ed il centro abitato di Termini.
La Via Campanella, l'antichissima strada del “Promontorium Minervae” rappresentato nella “Carta Peutingeriana”, decantata sin dall'antichità classica dalla storia che si confonde con il mito, descritta da scrittori ed archeologi, visitata da studiosi ed ecologisti di tutto il mondo, è stata la “mia” strada sin dall'infanzia, dopo la metà degli anni ’60.
Il suo "grande" passato si rintraccia nei libri e persino nei motori di ricerca in rete. Ma la sua storia "minore", autentica e recente, non scritta, vissuta dagli abitanti dall'indole sensibile e laboriosa, è impressa in impronte invisibili, lasciate sul piano di calpestio della strada e nella memoria di persone datate, come me ed anche più.
Negli anni ’60 ero ancora bambina, ma ricordo perfettamente tante donne che percorrevano ogni giorno questa strada a piedi scalzi: le portatrici di fieno; rovistavano chine tra le rocce sui pendii scoscesi e raccoglievano con cura erbe "speciali", prezioso nutrimento per le loro mucche allevate nelle stalle, patrimonio essenziale per la sopravvivenza alimentare ed economica di famiglie numerose, avvezze al lavoro e ad una secolare sobrietà.
Le portatrici di fieno "facevano il viaggio”, cioè il percorso tra i versanti scoscesi di Punta Campanella ed il centro abitato di Termini.
Erano donne dal fisico
forte e robusto, dotate di polpacci sviluppati, fianchi larghi, schiena e
spalle stabili, cervicale invidiabile, testa alta e diritta coperta da un
fazzoletto colorato che nascondeva capelli lunghi intrecciati; trasportavano
sulla testa, sopra il “cercine”, enormi carichi di erbe avvolte in tela di
sacco, che con il loro ingombro le occultavano. Innanzi ai miei occhi di
bambina, curiosamente rannicchiata sul ciglio della strada, apparivano come
insoliti passanti i sacchi di fieno in movimento.
Le donne portatrici di fieno camminavano in gruppo e, quando si fermavano sulla salita per riposarsi deponendo a terra il carico, scoprivo finalmente i loro volti: occhi scuri e sorriso accattivante, dolce, gentile, altruista. Chiedevano sempre: <<Ciao Francé, come stai?>> e dicevano poco o nulla di sé. Non si lamentavano mai.
Quando riprendevano il cammino, si aiutavano a vicenda per issare sulla testa il carico, assecondando lo sforzo con un suono inconfondibile che seguiva muscoli e respiro, un suono antico che emergeva dalle profondità del torace attraverso la bocca. Mi chiedevo cosa fosse quel suono. Un lamento? Un urlo di dolore? Un incoraggiamento? L'eco di un respiro?
Le portatrici di fieno adottavano la tecnica del sollevamento degli odierni bilancieri, ma con un valore aggiunto di necessità e di profonda umanità.
Il cammino silenzioso di queste donne era fatto di lenti passi di fatica, per la sopravvivenza in quella terra meravigliosa ma arida, e di amore per le mucche, ricchezza e gioia, animali che offrivano non solo alimenti ma anche compagnia, e che dopo i parti nelle stalle si sdraiavano su lenzuola candide, ricamate, provenienti da corredi prodotti da mani sapienti.
Una donna camminava sempre sola, oppure indietro rispetto alle altre. Era molto anziana, piegata a circa 60 gradi dal peso della vita, degli acciacchi, del fieno e delle fascine, ed era vestita sempre di nero, con una lunga gonna che toccava quasi il suolo.
Qualche volta la incontravamo percorrendo in auto la strada; mia madre le offriva un passaggio, ma la donna era molto orgogliosa, ed accettava solo dopo un lungo cerimoniale. Il carico veniva issato da noi sulla "pagliarella" che riparava il tettuccio della 850 Fiat dal sole cocente, e lei si accomodava avanti; il profumo delle erbe invadeva l'abitacolo e ci inebriava di essenze di Mediterraneo. In pochi minuti raccontava tante cose della sua lunga vita, gioie e dolori, felicità e sofferenze, e sempre l’affetto per le sue mucche, che amava come figlie forse desiderate ma che la vita non le aveva donato.
Le donne portatrici di fieno camminavano in gruppo e, quando si fermavano sulla salita per riposarsi deponendo a terra il carico, scoprivo finalmente i loro volti: occhi scuri e sorriso accattivante, dolce, gentile, altruista. Chiedevano sempre: <<Ciao Francé, come stai?>> e dicevano poco o nulla di sé. Non si lamentavano mai.
Quando riprendevano il cammino, si aiutavano a vicenda per issare sulla testa il carico, assecondando lo sforzo con un suono inconfondibile che seguiva muscoli e respiro, un suono antico che emergeva dalle profondità del torace attraverso la bocca. Mi chiedevo cosa fosse quel suono. Un lamento? Un urlo di dolore? Un incoraggiamento? L'eco di un respiro?
Le portatrici di fieno adottavano la tecnica del sollevamento degli odierni bilancieri, ma con un valore aggiunto di necessità e di profonda umanità.
Il cammino silenzioso di queste donne era fatto di lenti passi di fatica, per la sopravvivenza in quella terra meravigliosa ma arida, e di amore per le mucche, ricchezza e gioia, animali che offrivano non solo alimenti ma anche compagnia, e che dopo i parti nelle stalle si sdraiavano su lenzuola candide, ricamate, provenienti da corredi prodotti da mani sapienti.
Una donna camminava sempre sola, oppure indietro rispetto alle altre. Era molto anziana, piegata a circa 60 gradi dal peso della vita, degli acciacchi, del fieno e delle fascine, ed era vestita sempre di nero, con una lunga gonna che toccava quasi il suolo.
Qualche volta la incontravamo percorrendo in auto la strada; mia madre le offriva un passaggio, ma la donna era molto orgogliosa, ed accettava solo dopo un lungo cerimoniale. Il carico veniva issato da noi sulla "pagliarella" che riparava il tettuccio della 850 Fiat dal sole cocente, e lei si accomodava avanti; il profumo delle erbe invadeva l'abitacolo e ci inebriava di essenze di Mediterraneo. In pochi minuti raccontava tante cose della sua lunga vita, gioie e dolori, felicità e sofferenze, e sempre l’affetto per le sue mucche, che amava come figlie forse desiderate ma che la vita non le aveva donato.
Nel 1973 qualcuno
immortalò l'anziana donna in una foto che fu pubblicata sui giornali di tutta
Italia, dopo la tragedia di una frana che si distaccò dalla montagna e travolse
case e persone. Mi sono sempre interrogata sulle motivazioni della scelta di
quella foto. Forse l’immagine dell’anziana oppressa dal carico, china in
cammino sulla strada aperta tra le macerie delle case distrutte, avrebbe
evocato in modo potente il peso del dolore che gravava sulla piccola comunità
locale, attraverso l’icona di una delle tante donne da sempre allenate ad
enormi fatiche quotidiane.
Non so se la donna sia mai venuta a conoscenza di quella foto, e se abbia prestato il consenso alla pubblicazione nei media del tempo. Ricordando i suoi discorsi, immagino di no. Era riservata e schiva, e teneva molto alla sua "onorabilità", con un senso antico di pudicizia che ai nostri giorni farebbe sorridere.
Oggi, al tempo dell'overtourism che, nel bene e nel male, interessa la penisola sorrentina, è doveroso rendere onore alle fatiche delle donne portatrici di carichi di fieno sulla testa e sulla schiena, e non dimenticare le invisibili impronte dei loro piedi scalzi impresse sulla strada che calpestavano, dopo aver raccolto sin dall’alba erbe profumate sui versanti scoscesi tra rocce, ardui sentieri, e muretti a secco sospesi tra cielo e mare.
Non so se la donna sia mai venuta a conoscenza di quella foto, e se abbia prestato il consenso alla pubblicazione nei media del tempo. Ricordando i suoi discorsi, immagino di no. Era riservata e schiva, e teneva molto alla sua "onorabilità", con un senso antico di pudicizia che ai nostri giorni farebbe sorridere.
Oggi, al tempo dell'overtourism che, nel bene e nel male, interessa la penisola sorrentina, è doveroso rendere onore alle fatiche delle donne portatrici di carichi di fieno sulla testa e sulla schiena, e non dimenticare le invisibili impronte dei loro piedi scalzi impresse sulla strada che calpestavano, dopo aver raccolto sin dall’alba erbe profumate sui versanti scoscesi tra rocce, ardui sentieri, e muretti a secco sospesi tra cielo e mare.
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Questo racconto è riportato, nella sua versione completa ed illustrata, nel mio libro di recente pubblicazione dedicato alla comunità di Termini di Massa Lubrense, con alcuni miei ricordi di vita nel paese a partire dalla metà degli anni '60:
(cartaceo con immagini in bianco e nero; ebook con immagini a colori):
Altri miei libri di recente pubblicazione contenenti, tra l'altro, ricordi di cammini nella terra di Massa Lubrense, Termini, Punta Campanella, Nerano, Baia di Ieranto e dintorni, in forma di racconti autobiografici:
(cartaceo con immagini in bianco e nero; ebook con immagini a colori):
ARCHITETTURE-CAMMINO
(logo di Irene Munzù)
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