CAMMINO SULLA DUNA SELVAGGIA, TRA NATURA ED ARCHITETTURE CIRCONDATE DALLE ACQUE, Oasi di Vallevecchia e Brussa di Caorle (VE), Alto Adriatico

 
CAMMINO SULLA DUNA SELVAGGIA, TRA NATURA ED ARCHITETTURE CIRCONDATE DALLE ACQUE, Oasi di Vallevecchia e Brussa di Caorle (VE), Alto Adriatico
Dopo un inverno che mi è sembrato interminabile, alla fine è esploso il desiderio mai sopito di camminare di fronte al mare di Caorle (VE), lungo una delle poche dune selvagge dell'Alto-Adriatico miracolosamente non intaccata dall'aggressione edilizia dell'industria balneare. 
Una bella giornata di quasi primavera, un po' velata, freschetta ma soleggiata.
Zainetto leggero, bastoncini da nordic walking e via verso il mare.... Finalmente THALASSA!
L'oasi naturalistica di Vallevecchia è uno scrigno di tesori e di misteri della vita pulsante nella flora e nella fauna, a poche decine di chilometri da aree antropizzate, urbanizzate, industrializzate, percorse da stradoni rettilinei e da autostrade.



I maestri della fotografia naturalistica, che pubblicano capolavori d'arte e li diffondono sui social, si appostano in ogni stagione all'alba nella pineta e nella boscaglia per fotografare creature che stazionano qui nelle loro migrazioni o che vivono in assoluta libertà, indisturbate, riproducendosi su questo lembo di terra che si protende nel mare oltre un'area dal nome inquietante di "Brussa".
Secondo accreditate interpretazioni, il toponimo deriva dalla lingua friulana e precisamente dal termine "brusc" che indica sterpi e legname minuto, tipici dei luoghi selvosi ed aridi. 
L'oasi naturalistica di Vallevecchia, ricoperta da una splendida pineta ma anche da bassissima macchia e da sterpaglie intricate, spinose ed inaccessibili, è un lembo di terra che emerge dal mare, che si è finora incredibilmente salvato dall'assalto duplice delle acque: da un lato, le acque del mare, che si infrangono su questi lidi aperti a sud-est senza ostacoli di terre per migliaia di miglia, durante le inondazioni che si verificano quando lo scirocco soffia tempestoso sul Mediterraneo ed assale le coste venete con onde lunghe ed acque alte; e dall'altro lato, le acque dei fiumi che provengono dalle montagne delle Alpi orientali, nei cui greti confluiscono rivi torrentizi discendenti da vette alte e da versanti tormentati, poi acque di risorgive pedemontane e di letti ghiaiosi, ed infine canali che attraversano le pianure friulano-venete.
Giungendo dall'entroterra, penso sempre che in origine questa zona era dominata dalle acque; era una distesa paludosa salmastra, che dai primi decenni del XX secolo è stata sottratta al mare divenendo "terra emersa" per effetto di una sistematica bonifica che, attraverso l'attività incessante delle idrovore, ha consentito di recuperare suolo agricolo, oggi punteggiato da grandi edifici rurali (molti dei quali abbandonati) che emergono come cattedrali nel deserto tra le distese piane di campi coltivati con mezzi meccanici.
Camminando lungo il mare, invece, penso con inquietudine che in futuro forse qui la terra della duna/isola sarà inghiottita dall'acqua, perché l'erosione marina è tangibile e, di anno in anno, appare sempre più aggressiva lungo il margine, proprio laddove la pregevolissima vegetazione di pineta e di macchia affonda le sue radici, creando l'habitat accogliente e protettivo per la vita di tante specie vegetali ed animali.


Il mare è calmo, senza imbarcazioni e senza vento, il silenzio domina e spegne i pensieri, mi invita ad impostare il passo della camminata nordica con ritmo, una spinta parallela ogni tre passi, mentre il respiro si armonizza e si stabilizza, ed il torace si apre per accogliere al massimo l'aria iodata del mare. 
So che questa non sarà solo una camminata di sport e di benessere in natura, ma anche una riscoperta di architetture che conosco e che periodicamente amo rivisitare, quando la spiaggia è poco frequentata.


La sabbia è umida e compatta, la marea è in calo, i piedi calpestano conchiglie di svariate forme e sabbia cosparsa di elementi naturali trasportati dai flutti: piccoli rami, ciuffi di alghe, un tronco lunghissimo (oltre 20 metri) insabbiato da tanto tempo, ormai privo di segni di vita nelle radici, privo di corteccia, levigato dal sole, dal vento e dall'acqua; chissà quanti chilometri di territorio ha attraversato prima di fermarsi qui, dopo essere stato sradicato dalla sua casa/foresta da acque violente di un torrente di montagna in piena, almeno 100 km a nord di questa spiaggia.


Il primo incontro con un elemento costruito è beneaugurante: la Madonnina del Mare, piccola edicola votiva eretta sulla spiaggia al margine della duna, delicata creazione di arte popolare, opera di devoti dei nostri tempi, i quali con legno e conchiglie hanno definito una sorta di avamposto della terra verso il mare, con la speranza che l'immagine sacra possa arrestare le acque durante le inondazioni. La Madonnina resiste, ma ogni anno la trovo diversa. Qualcuno viene qui a controllarla, a sistemarla, a decorarla, forse a ringraziarla.
Mi piacerebbe conoscere i custodi di questo presidio di devozione.





Il cammino prosegue parallelamente alla linea di costa, verso levante, in direzione della laguna; in lontananza appaiono i pali che segnalano la foce e che indirizzano le imbarcazioni nello stretto canale in direzione del mare aperto. Sulla sponda opposta vi è un altro mondo: la spiaggia di Bibione, nota località del turismo balneare.


In questo punto le acque della laguna si dirigono verso il mare, alle spalle dell'osservatore. Innanzi e verso sinistra si estende la laguna di Baseleghe. L'acqua sembra scorrere tranquilla verso il mare ed invita a guadare, ma la presenza di piccoli vortici in lontananza rivela il gioco delle correnti che si incontrano/scontrano, in questo sito magico in cui le acque dolci e salate si mescolano nella fusione della realtà marittima, esposta alle tempeste, con quella fluviale e lagunare, accogliente, riparata e storicamente frequentata dagli abitanti per l'attività di pesca.



Qui a Punta San Marco, sull'estremità orientale della duna, priva di pini e ricoperta di sterpaglia, emergono le architetture tradizionali tipiche di questo e di altri luoghi delle lagune friulano-venete e delle foci fluviali: i Casoni.


In lontananza i Casoni appaiono come imponenti capanne che si mimetizzano tra i colori della sabbia e della vegetazione; a distanza ravvicinata si osserva e si ammira la peculiarità delle costruzioni di tipo rurale, su pianta ellittica, coperte da tetto spiovente in forte pendenza rivestito con strati di canne secche disposte con regolarità e maestria su un'intelaiatura lignea.
Ho avuto occasione di leggere che i Casoni, sorti sin dal XVI-XVII secolo in questa zona, erano originariamente utilizzati dai pescatori come punti di appoggio e di ricovero per le loro lunghe batture di pesca e come depositi di attrezzature, ed in alcuni periodi anche come abitazioni permanenti in cui le persone si riunivano, tra l'altro, per lavorare il pescato.
Ho letto che all'interno dei casoni vi era, in origine, un focolare privo di camino, e che i fumi fuoriuscivano attraverso l'incannucciata, lasciando all'interno un odore di intenso di fumo, di pesce e di salsedine.



Il desiderio di incontrare qualcuno e di visitare l'interno di questi casoni era fortissimo, ma è rimasto anche questa volta insoddisfatto, nel silenzio del luogo denso di segni di frequentazione umana, tra cui un'immagine di San Marco apposta sulla porta di ingresso.




Sulla via del ritorno, lungo lo stesso percorso dell'andata, la spiaggia appariva immensa poiché la marea era calata velocemente in poche ore, e sulla sabbia compatta ed ondulata emergevano conchiglie, molluschi e crostacei che numerosi pescatori muniti di stivaloni di gomma si avviavano a raccogliere, attrezzati con retini e secchi.
La tradizione delle genti del luogo permane ancora salda sulla duna selvaggia.

Spero che il passo dei visitatori sia lieve, rispettoso della peculiarità del sito e del suo fragile equilibrio, e consapevole del valore naturalistico e storico-culturale del suo patrimonio.
Buon cammino in silenzio ed in punta di piedi!
Francesca





ARCHITETTURE-CAMMINO
(logo di Irene Munzù)
















Commenti