CAMMINO NEL PAESE, VERSO LA CHIESETTA TRA I PRATI E LA FAGLIA, Andreis (PN), Dolomiti Friulane, Friuli Venezia Giulia
CAMMINO NEL PAESE, VERSO LA CHIESETTA TRA I PRATI E LA FAGLIA, Andreis (PN), Dolomiti Friulane, Friuli Venezia Giulia.
Il paese di Andreis, annidato tra le prime montagne del massiccio delle Dolomiti Friulane che si estende sconfinato nel cuore del Friuli occidentale, è un piccolo mondo appartato, distante pochi chilometri dalla pianura, ma immerso in una dimensione lontanissima da quella delle realtà urbanizzate.
Una lunga galleria, che attraversa il Monte Fara, immette il visitatore in una valle verdeggiante dominata da montagne rocciose, impervie e strapiombanti, disposte a corona intorno ad un paesino raccolto, attestato su un pianoro elevato, esposto a sud.
Ad Andreis non si passa percorrendo velocemente la strada SR 251 della Valcellina, ma si sceglie di andare appositamente, deviando ed attraversando una strada di fondovalle che costeggia il torrente Alba e che poi si inerpica verso la sommità dell'altura sulla quale si estende il pianoro.
Il paese, risalente all'alto medioevo, è un insediamento che "cerca" il sole in un sito accuratamente scelto dai fondatori; l'abitato sovrasta la valle per ridurre l'effetto dell'inversione termica che domina le strette e profonde forre dal territorio circostante, caratterizzate da zone d'ombra e da temperature rigidissime nonostante la modesta altitudine.
Il campanile della chiesa svetta nel paesaggio e segna il punto centrale, la piazza principale, il luogo della socializzazione ed il punto di riconoscimento identitario di una comunità antichissima di genti attive, operose, che per secoli hanno sistematicamente scavalcato a piedi le montagne su un sentiero impervio per raggiungere le pianure friulane e venete e per percorrerle in lungo ed in largo, sempre a piedi, vendendo merci autoprodotte.
Nella letteratura locale gli andreani del passato sono stati definiti "abili ed intelligenti", capaci di creare prodotti artigianali sfruttando le risorse del luogo e di girovagare senza confini nel mondo "esterno" alla loro valle appartata.
Oggi la comunità conta poche centinaia di abitanti che resistono, innamorati del proprio paese ed ancorati alle proprie radici.
L'insediamento ha conservato perfettamente la storica morfologia, costituita da lunghissime cortine di case allineate su strade serpeggianti, pressoché parallele tra loro.
Le abitazioni sono essenziali, modeste ma eleganti, in legno e pietra, ben conservate, abitate, protette e vincolate; sono beni architettonici di notevole pregio tipologico e costruttivo, tipiche di questa zona, e sono denominate "DALTZ".
Le case sono "bifronti" e cercano di catturare il sole; espongono a nord le pareti in pietra con piccolissime aperture, e si aprono generosamente verso sud con ampi ed alti ballatoi in legno che contengono le scale di collegamento interpiano, gli affacci sui cortili e le ringhiere in legno su cui vengono apposti ad essiccare i prodotti agricoli.
La vita nei cortili è ancora attiva e vivace, specie nella bella stagione, e certamente in passato lo era ancora di più, quando nel paese viveva oltre un migliaio di abitati; ogni casa ed ogni cortile hanno un nome; la toponomastica in lingua autoctona contrassegna in modo capillare non solo le strade e gli slarghi ma ogni angolo del costruito, e naturalmente ogni spazio circostante, ogni prato, ogni collina, ogni sentiero, ogni borgata, ogni rivo, ogni avvallamento.
Solo gli abitanti riescono ad orientarsi in questa moltitudine di nomi che testimoniano la sopravvivenza della memoria e dell'identità, e che sono stati censiti, studiati nella loro etimologia ed accuratamente custoditi.
Onore a questa gente che tramanda con fierezza le proprie tradizioni e la propria cultura!
Il museo dell'arte e della civiltà contadina, allestito con accuratezza, meticolosità e passione in un edificio nel centro del paese, conserva secoli di storia attraverso oggetti ed attrezzi di ogni sorta, che rievocano la vita quotidiana del passato e tramandano un patrimonio materiale ed immateriale di grande valore, che testimonia il "saper fare" tutto o quasi in autosufficienza, con parsimonia, pazienza e capacità creativa.
Sullo sfondo, oltre le case, si vedono ovunque le montagne, dominanti, incombenti ma anche protettive e rassicuranti.
Il paese appare ridente, ma le sue case, i suoi cortili, ed i prati verdeggianti che lo circondano sono sopravvissuti e sopravvivono alla minaccia degli sconvolgimenti tettonici.
La temibile faglia periadriatica che tormenta la colonna vertebrale dell'Italia peninsulare, si prolunga fin qui nelle Alpi, ad un chilometro circa dall'abitato.
Un luogo emergente nel paesaggio e particolarmente caro agli abitanti è il Monticello, sulla sommità del quale si erge la settecentesca chiesetta di San Daniele, dedicata alla Madonna della Salute. Il sito è unico, mitico, magico e speciale.
Per percepirne lo spiritus loci bisogna recarvisi a piedi lentamente, in silenzio, preferibilmente in solitaria, attraversando prima le strade che fiancheggiano le lunghissime cortine di case, con tappe in corrispondenza delle numerose nicchie votive sulle facciate, sostando innanzi alle fontane di pietra ed ai capitelli votivi nei crocicchi, e poi inoltrandosi lungo un agevole sentiero sterrato fiancheggiato da frutteti.
La vista delle montagne accompagna il cammino e segna la direzione: una barriera montuosa strapiombante ed insormontabile, segnata in basso da scoscendimenti franosi che somigliano a ferite prive di vegetazione.
Alla sommità di una lunga scalinata appare la facciata della chiesetta, rivolta ad ovest e preceduta da un portico accogliente, invitante alla sosta, al riposo, alla gratitudine nel silenzio interrotto solo dal fruscio del vento tra il fogliame degli alberi.
Ho sempre trovato la chiesetta chiusa, ma attraverso i vetri delle finestre ho osservato con interesse l'interno, accogliente, affascinante nella sua essenzialità, propria di un presidio di devozione, di un luogo di preghiera e di supplica corale al cospetto delle più violente forze della natura che si manifestano oltre l'abside.
Alle spalle dell'osservatore che ammira le forme architettoniche della chiesetta, si estende il regno incontrastato della Natura e dei movimenti tettonici di Madre Terra. Appare uno strapiombo altissimo che sovrasta una fenditura stretta, dominata da uno scoscendimento franoso. La faglia. Qui si percepisce l'instabilità, l'essere in bilico su un precipizio che in ogni istante, e senza preavviso, potrebbe tremare, sconvolgere ogni sismografo, precipitare e trascinare in basso gli alberi attestati sul margine, le rocce sottostanti e chissà, forse anche la chiesetta, l'opera dell'umana devozione e della supplica inascoltata.
Dal portico la vista spazia verso ovest su montagne dalla morfologia dolce, e dona la speranza che la catastrofe distruttiva, già avvenuta in passato, non ripeta più, e che la chiesetta rimanga ben salda a presidiare e proteggere questo sito e, dall'alto, il paese di Andreis, per secoli e secoli, finché sarà concesso.
Discendendo la scalinata per ritornare in paese, nell'armonia del paesaggio, non si può non provare già nostalgia e desiderio di ritornare presto a rivisitare questo luogo unico.
Lungo la discesa ci si rende conto di quanto possa risultare emozionante l'ascesa a questa chiesetta. Era così anche per Federico Tavan, poeta nativo di Andreis, che ha dedicato alla "Glesiuta" questa poesia sintetica, essenziale, intensa, empirica:
Riporto la traduzione proposta nel testo "Cràceles cròceles" edito dal Circolo Culturale Menocchio (1997):
CHIESETTA
Che bella la chiesetta sul colle dove arrivavo bambino con il cuore in gola.
Questo cammino in effetti fa tornare un po' bambini anche i datati, e persino gli sportivi che non arrivano su con il cuore in gola per effetto della salita, ma per effetto della sorpresa quando si affacciano per la prima volta sulla faglia, sullo spazio inquietante che amplifica la piccolezza e la debolezza dell'essere umano al cospetto delle energie del pianeta.
La rappresentazione della chiesetta nella mappa del catasto lombardo-veneto del 1830 (Archivio di Stato di Pordenone, ASPN Comune di Andreis, foglio XIX) evidenzia in modalità affascinante, esasperata e quasi pittorica, la dolcezza dei prati, la posizione isolata della chiesetta e l'ampiezza della faglia, una ferita che lacera la terra con tante diramazioni:
L'essenza della chiesetta come presidio di devozione si avverte nettamente quando la si osserva dal versante opposto della montagna, dalla borgata di Bosplans.
Da qui la chiesetta appare come un puntolino bianco, piccola piccola, lontana, più che mai fragile, ultimo avamposto del costruito storico e dell'opera dell'uomo, sospesa sull'abisso.
Francesca
ARCHITETTURE-CAMMINO
(logo di Irene Munzù)
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