CAMMINI TRA COSTA ED ENTROTERRA IN SICILIA NORD-ORIENTALE - Percorsi nella memoria, Patti (ME), San Piero Patti (ME), tra i Monti Nebrodi ed il Mare Tirreno
CAMMINI TRA COSTA ED ENTROTERRA IN SICILIA NORD-ORIENTALE - Percorsi nella memoria degli anni '70, tra passato e presente, Patti (ME), San Piero Patti (ME), Monti Nebrodi
Anni ’70. Frequentavo un paio di volte all’anno la terra di origine di mio nonno paterno, intorno a San Piero Patti (ME), un piccolo paese agricolo e pastorale della Sicilia nord-orientale ubicato nell’entroterra dei Monti Nebrodi, con ampia vista sul Mare Tirreno e sulle isole Eolie.
In questa terra ammiravo le bellezze naturali di lunghe spiagge selvagge di sabbia e di chiaro ghiaietto, lambite da mare pulito, sempre mosso dal vento che ne esaltava il colore in ogni condizione meteo ed in ogni stagione.
Gustavo il fascino di altopiani pascolivi e di verdi montagne; notavo la varietà degli insediamenti, tra cui reperti dell’antichità classica, santuari, centri storici medioevali arroccati e difficilmente raggiungibili, città grandi e piccole ricche di architetture barocche in pietra lavica, insediate sulle pendici del grande vulcano e nella valle dell’Etna.
Sin dall’infanzia frequentavo un’amica coetanea del luogo, con la quale intrattenevo anche contatti epistolari quando eravamo lontane, con lunghe lettere scritte a penna e spedite in busta con il francobollo. Era simpatica, ironica, studiosa, virtuosa e laboriosa; amante della campagna, dell’aria aperta e degli animali, e desiderosa delle poche e semplici avventure che all’epoca erano consentite alle fanciulle in quella società molto tradizionalista, saldamente ancorata al suo passato. Mia madre mi impartiva severe regole di abbigliamento casto e di comportamento monacale nel paese, in cui mi era consentito camminare velocemente solo per fare la spesa o per recarmi in visita dall’amica.
Dalla casa avita in campagna percorrevo un sentiero antico tra boschetti, macchie e cespugli, che discendeva con gradonate fino ad una sorgente di acqua freschissima, che sgorgava dalla roccia e si raccoglieva in una vasca ombreggiata da un noccioleto;
qui sostavo a sorseggiare l’acqua, gustandone il sapore naturalissimo “alla nocciola”.
La mattina presto, prima della mia partenza, il sentiero era intensamente frequentato da persone a cavallo di asini e muli, i quali trasportavano sul dorso enormi ceste colme di prodotti della terra, percorrendo le colline tra il paese, che sorgeva a valle, e le località pascolive a monte. Dopo la fontana, il sentiero sbucava sulla strada rotabile e si immetteva nel paese, in cui abitava l’amica. Trascorrevamo insieme piacevoli giornate; lei suonava la pianola, leggevamo libri e riviste, cucinavamo, mangiavamo, camminavamo in campagna rincorrendo cagnolini, conigli, galline e cavie, e mangiando frutti raccolti sugli alberi.
In quegli anni ho camminato in gita, con la famiglia e con l’amica, nell’entroterra a monte del paese. Attraversavamo borghi silenziosi, in cui di tanto in tanto si incontravano donne affaccendate, con il capo coperto da un fazzoletto annodato sotto la gola, bambini e bambine che stazionavano timidi innanzi alle porte di basse casette in pietra, uomini cupi vestiti di scuro con il capo coperto dalla “coppola”, pastori solitari che scrutavano noi “forestieri” con curiosità mista a diffidenza, immersi in un silenzio atavico, interrotto solo dall’abbaiare dei loro cani, custodi dei padroni e delle greggi di pecore.
Attraversavamo colline disabitate, lungo strade curvilinee fiancheggiate da boscaglie e da terreni incolti; stazionavamo tra fitti cespugli di more, mangiando e raccogliendo i frutti succosi in cestini artigianali, fatti con rami di olivo sapientemente intrecciati.
Attraversavamo altopiani pascolivi verdissimi dall’aria limpida e rarefatta che, a quota 1200 metri, si estendevano con curve orografiche dolci, localmente interrotte da speroni rocciosi dalla genesi misteriosa ed inquietante.
Questi paesaggi mi apparivano sospesi sul resto del mondo, affacciati sull’immenso entroterra della Trinacria, esteso a perdita d’occhio in tutte le direzioni.
Ritornai nel paese nel 1981, in uno dei primi brevi viaggi in autonomia a 19 anni, conducendo con me mio fratello e mio cugino, entrambi di circa 15 anni, affidatimi dai genitori per pochi giorni, contati come i soldi.
Il viaggio da Napoli alla Sicilia fu notturno in nave traghetto, con il biglietto “di ponte”, pernottamento a terra con sacco a pelo, maglione e cappello di lana, risveglio all’alba innanzi al vulcano Stromboli che tuonava nel buio, navigazione per l’intero giorno con scali in tutte le isole Eolie, e sbarco a Milazzo. Qui ricordo il cammino verso la stazione, la salita su un treno atteso per ore, poi il cammino in salita nel paese di Patti per prendere un autobus che non arrivava mai e di cui nessuno sapeva nulla; infine, l’arrivo a San Piero Patti ed il cammino notturno con la torcia sul sentiero della fonte, fino alla casa avita in campagna. Un viaggio rocambolesco ma affascinante.
I due ragazzini che mi erano stati affidati avevano sempre fame: li nutrivo con cibo sano secondo le raccomandazioni delle mamme; talvolta concedevo loro un gelato e li guidavo, militarescamente ma benevolmente, in cammino.
Ero contenta di vivere quell’avventura insolita, sperimentando indipendenza e senso di responsabilità. Nella casa vuota ci accampammo in una stanza con i sacchi a pelo per simulare l’emozione del campeggio. Ci accontentavamo di poco e ci sentivamo liberi.
Camminavamo alla scoperta del centro storico del paese. Procedevamo su e giù per strade scoscese e scalinate, alla scoperta di elementi monumentali del '600 e del '700, come chiese e campanili:
Ammiravamo il convento carmelitano isolato, emergente nel paesaggio collinare:
Osservavamo i resti del castello, fontane, elementi artistici e scorci panoramici. Ero particolarmente incuriosita da un antico quartiere all'epoca spopolato, che era stato fondato dagli Arabi nell'alto medioevo e che conservava il tessuto urbanistico originario ed antiche architetture, tra aranceti ed orti irrigati con sistemi innovativi per quei tempi, attingendo l'acqua dal fiume sottostante.
Camminavamo a lungo lentamente, ci fermavamo a disegnare sul belvedere panoramico e facevamo conoscenze con persone del luogo, forse incuriosite dalla nostra presenza di “forestieri”. Un anziano artista ci invitò a visitare il suo studio di sculture in legno e ci raccontò storie e memorie della sua vita, dentro e fuori del paese.
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Ringrazio la mia cara amica Carmela Anna che mi ha inviato le foto ed alcune interessanti notizie, e che mi ha fatto rivivere, sia pure a distanza, la realtà dei siti che conservavo impressi nella memoria e nelle vecchie immagini degli anni '70 -'80.
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Questo scritto deriva da un racconto autobiografico, estratto dal mio libro di recente pubblicazione:
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