CAMMINO BREVE NEL "CENTRO" DELLA VALCELLINA - EMOZIONI CERCANDO IL PASSATO, Claut (PN), Dolomiti Friulane

 

CAMMINO BREVE NEL "CENTRO" DELLA VALCELLINA - EMOZIONI CERCANDO IL PASSATO, Claut (PN), Dolomiti Friulane.
Emozioni di una soleggiata mattina dell'estate 2022, pochi giorni prima del solstizio, nel cuore della Valcellina, tra Barcis e Claut. Preferisco non svelare il nome del luogo per non contaminarne l'atmosfera magica, che custodisce tracce poco visibili del suo passato, che meritano di essere scoperte con delicatezza, in punta di piedi. 
Coloro che conoscono approfonditamente il sito e la sua storia, non avranno difficoltà ad individuarlo, specie se hanno letto qualche opera dello studioso, scrittore, e poeta  barciano Giuseppe Malattia della Vallata (1875-1948), cantore della  Valcellina.
Questi sostiene che il nome deriva dalla lingua greca antica del Mediterraneo, penetrata fin qui misteriosamente da un mare che appare come un mondo estraneo e lontanissimo, e che l'etimo significa "il Centro".
In effetti questo sito è davvero un "Centro", annidato nel cuore di una valle stretta e selvaggia, scavata e riempita alternativamente dalla Cellina, un torrente serpeggiante tra sponde anguste, sulle quali le montagne precipitano con inclinazioni prossime ai 90 gradi.


Le acque della Cellina scorrono impetuose ed inarrestabili, con un fragore che sovrasta la voce umana anche quando la pioggia è un ricordo e la siccità flagella la pianura friulana; le sponde sono formate da sassi privi di dolci rotondità, catapultati dalle forze della natura su un piano inclinato instabile, sagomati capricciosamente con punte aguzze che testimoniano violenti combattimenti tra gli elementi, acqua, terra ed aria.


Inquieta immaginare ciò che accade durante le tempeste in questa strettoia della valle: turbinio e scrosci dell'acqua che precipita dal cielo e che corre nell'alveo, rombi di rocce franate da cime lontane, trascinamenti di massi nell'acqua che perde trasparenza e diventa marrone, sgretolamenti di sassi, ghiaie e sabbia che catturano ed imprigionano tronchi, rami e radici di alberi sradicati dalla corrente, privati della loro placida vita secolare.
In qualche punto a volte la vita rinasce tra i sassi, qualche pianta fiorisce nel sole, ma per quanto tempo? Chissà. Forse per solo qualche settimana. Sembra che qui l'acqua sia l'elemento vincente e dominante.


In questo paesaggio dinamico, violento ed instabile, alcuni secoli fa si era insediata una comunità di persone che aveva tratto dall'acqua del torrente la propria fonte di sussistenza principale. Le antiche mappe del XIX secolo rappresentano in questo sito uno specchio d'acqua, una sorta di ampia ansa del torrente; sui libri di storia locale si legge che gli abitanti del "Centro" pescavano pesci nel torrente e cacciavano animali nei boschi circostanti, per alimentarsi. Nell'acqua transitavano, controllati attraverso la "fluitazione", i tronchi di legname segati da abili boscaioli; e così dalle montagne dolomitiche i tronchi raggiungevano il mare; alberi altissimi diventavano travi dei più maestosi palazzi di Venezia e delle città di pedemontana, di pianura e di laguna, dopo tanta strada lungo l'acqua.
Nella mattina d'estate i mezzi motorizzati corrono veloci sulla strada SR 251 della Valcellina, auto, moto e persino tir, e sorpassano il "Centro" senza attraversarlo. 
La strada rotabile è una barriera, interposta tra l'antico insediamento ed il suo torrente; ha snaturato il rapporto originario tra gli spazi naturali ed antropizzati. L'insediamento è rimasto appartato e marginale, frequentato solo da coloro che con sentimento antico e nostalgico curano la chiesetta, alcune case, i minuscoli orti, uno slargo con la fontana, siepi fiorite. Il corso del sole è breve dopo i giorni del solstizio d'estate, ed all'inizio dell'autunno la valle sembra già una gelida forra nei giorni senza sole. 


L'insediamento storico esiste ancora, piccolo e compatto, uno scrigno di interessanti architetture spontanee in legno e pietra, aggrappato alla sponda, affacciato sul torrente, protetto alle spalle da boschi che un tempo erano presumibilmente intervallati da piccole radure prative. Difficile costruire, abitare e coltivare questa terra, eppure le genti tenaci ci riuscivano.



Immagino che avessero fede, e che questa fosse saldamente radicata nella vita quotidiana. Una chiesetta era dedicata alla Salute, bene prezioso e requisito indispensabile per la sopravvivenza ed il lavoro tra queste montagne inaccessibili. 
Nel "Centro" passava una strada, una mulattiera che oggi è stata in parte inghiottita dal torrente sottostante, e sulla mulattiera nella bella stagione transitavano tante persone in cammino, discendendo o risalendo la valle. Certamente si fermavano qui.


Mi piace entrare nel "Centro" e sostare. Gli incontri sono imprevedibili. 
Una persona seduta ad un tavolino innanzi alla sua casa ha raccontato che, fino all'ultimo dopoguerra, qui abitavano varie famiglie, tutte molto numerose, anche con bambini. Tanti sono andati via, ma tornano sempre, attratti da un richiamo potente, irresistibile.


Una donna anziana rimase, sola e determinata, fino alla fine. La vidi in un giorno d'estate un decennio fa, seduta innanzi alla sua casa, su una panchetta fiancheggiata da vasi fioriti; il suo sguardo mi incuriosì: guardava lontano, forse in direzione delle montagne frontistanti, oppure vagava nei meandri delle sue memorie, che ormai appartenevano ad una pagina di storia non scritta. Sembrava incurante dei passanti. 
Avrei voluto parlare con lei, chiedere, ascoltare racconti della vita passata, ma quel suo sguardo mi frenò. Peccato. Oggi non c'è più.
In un gelido pomeriggio di dicembre di alcuni anni fa viaggiavo con un amico nel bus Claut-Pordenone che avanzava sulla strada pulita e sgombra, fiancheggiata da alti cumuli di neve ai margini, con il ghiaccio che invadeva l'asfalto con il trascorrere delle ore. Eravamo solo in 3 nel grande bus, compreso l'autista e parlavamo dei luoghi, attraversandoli nel buio. Giunti presso il "Centro" il bus attraversò il piccolo insediamento e l'autista salutò con il clacson la casa della donna, la cui finestra era ancora illuminata. Oggi tutto questo è un ricordo della mattina d'estate, non senza rammarico.
Il torrente continua a scorrere sotto il "Centro", indifferente alla vita ed alla storia degli umani.


Se hai letto fin qui, e se sai qualcosa del luogo di questo racconto, o se vuoi rendere nota una testimonianza della sua storia non scritta e del passato della sua gente, contattami. Sarò lieta di ascoltare e molto grata. Magari potrebbe venire fuori un libretto con memorie, foto e cartografia, per non dimenticare e trasmettere al futuro.


Francesca

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Commenti

E. ha detto…
Ci passo spesso davanti....non entro perché mi sembra di "disturbare"...ma è un piccolo tesoro che varrebbe la pena raccontare . ..
Francesca Aiello ha detto…
Concordo...in ogni caso in punta di piedi e con il cuore aperto e pieno di ammirazione non si disturba, si valorizza...
Francesca Aiello ha detto…
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